In questi giorni sentiamo spesso parlare di "Didattica a distanza". Condivido con voi un breve articolo che spero possa essere lo spunto per interrogarci sula direzione da prendere.
Buona lettura!!
La Didattica al tempo del Coronavirus
Il 4 marzo 2020 ci ha trasportato verso una realtà nuova, parallela. Un cambiamento che molti hanno definito surreale. La chiusura delle scuole ha messo tutti, anche i più scettici, di fronte al fatto che l’epidemia stava diventando qualcosa di concreto e tangibile. Da lì a qualche giorno, questa consapevolezza si è rafforzata parallelamente all’espandersi dell’emergenza sanitaria. E quella che sembrava essere una misura precauzionale temporanea, è diventata ben presto una nuova dimensione della quotidianità.
I docenti, che nei primi giorni si erano limitati ad assegnare qualche compito di approfondimento per la pausa, si sono resi conto che dovevano iniziare a pensare di riorganizzare il loro lavoro con la didattica a distanza: audio, video, schede di approfondimento e video-lezioni. Un lavoro che non tutti erano pronti ad organizzare e gestire, sia per mancanza di preparazione in tal senso, sia per mancanza di strumenti presso le proprie abitazioni.
Contemporaneamente, milioni di studenti, dalle elementari alle superiori, si sono trovati a dover autogestire il proprio lavoro scolastico da casa: controllo del registro elettronico (almeno due volte al giorno perché non si può prevedere l’orario in cui gli insegnanti inseriranno materiale didattico e consegne), controllo dei materiali di ogni singola materia, necessità di scaricare e/o stampare il materiale, invio dei compiti svolti e appuntamento nelle varie piattaforme per seguire le videolezioni.
E le famiglie? Veniamo all’organizzazione più complessa (valida tanto per gli insegnanti che per gli studenti), le famiglie.
Famiglie in cui, spesso, se i genitori sono a casa lavorano tramite lo smart working. Famiglie in cui potrebbero non esserci strumenti adeguati (tablet, pc, webcam, stampanti), oppure magari c’è un solo device che viene utilizzato da tutti i componenti che si trovano costretti a fare i turni per poter accedere alla loro “area di lavoro”. Famiglie in cui i genitori non sono in grado di seguire i propri figli nella didattica a distanza per i motivi più svariati: perché lavorano da casa e hanno da fare i conti con le loro consegne, perché non hanno le competenze per seguire i ragazzi alle prese con le materie più disparate (se alle elementari ci si concentra su italiano e matematica, la situazione è ben diversa alle medie, per non parlare delle superiori), oppure perché hanno figli di età diverse, con esigenze diverse e, ovviamente, difficoltà diverse (qualche giorno fa mi ha contattato una signora con ben quattro ragazzi che non sapeva dove mettere le mani per poterli aiutare nello studio).
Sicuramente ognuno dei protagonisti della didattica a distanza ha fatto i conti con mille problemi organizzativi: dagli strumenti agli spazi, dalle competenze alle capacità.
Ma in questo turbinio di cambiamenti io mi pongo una domanda: si sta dando enorme importanza alla didattica (ed è più che comprensibile) ma ci si è chiesti quale impatto possa avere questo nuovo modo di fare didattica in termini emotivi?
Il fatto di non essere stati preparati a questo nuovo modo di fare scuola, di trovarci in una situazione in cui è difficile, per alcuni anche impossibile, reperire in breve tempo gli strumenti che servono, di vivere la casa (fino a qualche giorno fa spazio intimo e familiare) come un connubio di ambienti (scuola, lavoro, relazioni sociali) in cui si intrecciano le necessità di ogni componente, può portare ad uno stress che si aggiunge allo stress della situazione che stiamo vivendo.
In questo momento storico, dovremmo porre l’attenzione non solo al supporto didattico (necessario e importante, su questo non c’è dubbio) ma anche e soprattutto sulla possibilità di alleggerire, dove possibile, le modalità di studio, permettendo ai bambini di poter avere una maggiore autonomia nello svolgimento dei propri compiti (non è questo il fine ultimo dell’educazione?), agli insegnanti di poter imparare e far proprio un nuovo modo di fare didattica (e chissà che questo non porti ad un cambiamento sostanziale del fare scuola, per come lo conosciamo oggi) e, infine, delle famiglie (dove c’è bisogno di ritrovarsi, imparare a condividere, e non solo il lavoro, e di ricostruire un intimità in cui ognuno possa sentirsi libero di avere i propri spazi e di esprimere se stesso nella consapevolezza di essere vicini).
Pamela Palazzolo
Psicologa Psicoterapeuta
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